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Davanti alla pochezza o l’incomprensibilità di tanta arte contemporanea si preferisce sviare il discorso critico ed esplicativo verso l’autore o il fare.




In questa serie di saggi l’autore investiga queste tematiche, cercando di andare oltre questo bivio senza apparente uscita. Il concetto di arte viene investigato partendo dalla Grecia classica, dove modulava una sorta di lascito personale di un individuo che lo avvicina alla felicità. Tale essere, insomma, deve delineare un’opera che dia un senso di completezza all’esistere. L’atto creativo possiede allora una potenza che si lega alla vita contemplativa. Già Kazimir Malevič aveva esaltato tale modalità esistenziale come il più alto grado d’umanità. E’ come se ogni cosa, nel momento che si volesse mantenere, si aprisse comunque, anche involontariamente, alla contemplazione. Qui si situa la sua grazia, una delle verità possibili dell’arte. Le opere non vanno perciò troppo spiegate. Questo si comprende benissimo nel coacervo del contemporaneo che passa sotto ai nostri occhi. Ad un certo punto le opere vanno lasciate andare. Anche verso i diversi tipi di potere a cui possono soggiacere tanti ambiti del vivere odierno bisogna poi avere uno sguardo un po' distaccato. Ci vuole un approccio anarchico, quindi aperto all'edificazione e alla polverizzazione. Qui risiede infatti una possibile apertura a quello che non è stato ancora pensato.


- Stefano Taddei


Giorgio Agamben

Creazione e anarchia.

L'opera nell'età della religione capitalista

Neri Pozza Editore, pp. 144


La nostra vita può essere un continuo cercare il cambiamento. A volte questi mutamenti rimangono solo un progetto che non si conclude in niente di riscontrabile. E’ su questi concetti che verte l’attuale esposizione di Mattia Pajè. In mostra una serie di elaborazioni nate dalla residenza dell’autore negli spazi della Fondazione. Mattia Pajè è artista che utilizza vari linguaggi ed è sempre stato attento alle modalità della fruizione dell’operare. Questa mostra è, in fondo, un “ sentire “. In Ciao si mostrano due figure antropomorfe che sembrano indicarci la precarietà del vivere, anche di coppia. In Si può sempre raggiungere l’obiettivo, opera influenzata dal matematico e pseudoscienziato russo Grigori Grabovoi, trasmette la possibilità che l’osservazione di una serie di numeri possa lasciare un cambiamento nell’esistenza dell’uomo.



Ciao, 2019, argilla rossa Sansepolcro, ferro, 108 x 172 x 50 cm, courtesy Fondazione smART - polo per l'arte e l’artista, foto di Francesco Basileo



Si può sempre raggiungere l’obiettivo, 2019, acciaio inossidabile, 118 x 15 x 1 cm, courtesy Fondazione smART - polo per l'arte e l’artista, foto di Francesco Basileo


La pavimentazione dello spazio espositivo e le varie elaborazioni in mostra paiono quindi guidarci verso uno smarrimento rispetto a quello che vorremmo circoscrivibile. La vita in fondo è un brulicare di sensazioni, le più diverse e le più imperscrutabili. La ricerca di Mattia Pajè ci racconta di questo, propone traiettorie non chiuse in una precisa forma e che perciò si amplificano, disperdendosi, nei meandri della coscienza dello spettatore.



Bewilder, 2019, stampa a sublimazione su PVC 500 gr, 90mq, courtesy Fondazione smART - polo per l'arte e l’artista, foto di Francesco Basileo



Fatina, 2019, argento 5,3 x2 x 0,2 cm, courtesy Fondazione smART - polo per l'arte e l’artista, foto di Francesco Basileo



Questa è una mostra di notevole impatto ma non si appoggia al trito fenomeno della spettacolarizzazione estetica o artistica. Qui, infatti, vengono dispiegate diverse interpretazioni della contemporaneità. Nei tempi incerti attuali prendere atto di tale, continuo, farsi e disfarsi della realtà è ambito di referenza auspicabile per tutti. Ha ancora senso proporre nuove forme per il normale vivere ? O siamo destinati ad un cambiamento impossibile da realizzarsi ?


Sono tutte domande che, dopo la visione di tale mostra, possono riempire il discernimento dell'essere contemporaneo.


-Stefano Taddei




Mattia Pajè


Un giorno tutto questo sarà tuo


a cura di Saverio Verini


Fino al 20 marzo 2020


Fondazione smART - polo per l’arte

Piazza Crati 6/7, Roma


da martedì a venerdì, 11.00 - 13.00 / 15.00 - 18.00


http://www.fondazionesmart.org/home


La realtà non è quella davanti ai nostri occhi. Questo è uno dei lasciti più importanti desunti dall’insegnamento di Jean Baudrillard, qui analizzato magistralmente da Vanni Codeluppi. Tanti gli spunti che ci lascia questo testo.




Ad esempio il fatto che l’esperire del reale passa inequivocabilmente attraverso i media. Ogni surrogato infatti di materialità viene veicolato primariamente da loro. Gli onnipresenti reality show hanno poi rinfocolato la mancanza d’idee dei media riguardo il reale. Sarebbe morta quindi ogni possibilità d’illusione. La realtà si è sviluppata talmente tanto come immagine, messaggio e tanto altro dovuto anche al digitale che è sparita. Non c’è più tempo di pensare su quello che ci accade davanti. Tutto è veicolato dai media. Le masse subiscono senza colpo ferire questo ammasso di comunicazione. Il digitale è considerato la più vera e più profonda realtà del vivere. In effetti però quello che conta rimane fuori da tali inquadrature. Jean Baudrillard aveva pensato che solo la fotografia analogica, tramite il tempo intercorrente tra lo scatto e lo sviluppo, avrebbe potuto sottrarre la realtà da questa dittatura di un tempo simultaneo e globale. Un altro pensiero desunto fagli ultimi suoi scritti veicola l'idea che ormai ci voglia un “ patto di lucidità “ che entri nei meccanismi dei media e favorisca un cambiamento.


- Stefano Taddei



Vanni Codeluppi


Jean Baudrillard


Feltrinelli, pp. 160

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