Non si può certamente dire che Alberto Burri avesse un bel carattere. Non si può altresì affermare che ciò gli ha impedito di essere un protagonista dell’arte mondiale del Novecento. Da qui bisogna partire per comprendere appieno la valenza di questo testo. La prigionia ad Hareford durante la Seconda Guerra Mondiale fu il punto di snodo per Alberto Burri per dedicarsi alla pittura.

Schifato dagli uomini, abbandonò la medicina non cooperando con gli americani e si dedicò a soggetti figurativi. L'opera prima sarà del 1945 e denominata Texas. Il ritorno in Italia nel 1946, il trasferimento l'anno successivo a Roma e la presentazione di lavori legati all'informale nella mostra alla galleria “ La Margherita “ nel 1948 sono i primi episodi di una carriera folgorante. L'arte di Burri era distante anni luce dal dibattito italiano tra astrattisti e figurativi . In questo stava la sua peculiarità. Il 1949 lo vide visitare Parigi e lo stesso anno cominciarono le sperimentazioni più audaci, come l'uso dei sacchi. Alcuni fugaci passaggi nel gruppo “ Origine “ e “ Manifesto per la televisione “ non scalfirono il successo solitario che sarebbe arrivato nei primi anni Cinquanta negli Usa. Un magistero che rimane tuttora intoccabile. Nel libro vari anedotti, anche sui paroloni usati dalla critica d'arte e che, quasi sempre, per l'autore non hanno centrato il segno. Vedi il riferimento alle garze e al sangue della sua ex professione di medico. Poi altri giudizi duri, vedi quelli rivolti al Dada, a Rauschenberg, a Tàpies, alla Transavanguardia o verso i giovani artisti. Altresì una grandissima fede in quel fare pittorico pittura che deve rispondere ai canoni di composizione e proporzione. Senza dimenticare tangenze con la scultura, vedi i Gobbi o il Cretto bianco di Gibellina. Una vita insomma continuamente sperimentante, sia materialmente che esteticamente.
- Stefano Taddei
Stefano Zorzi
Parola di Burri I pensieri di una vita
Mondadori Electa, pp. 112