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L’arte ha tra le sue peculiarità d’indagine quelle riguardanti lo stare al mondo. Accogliendo certe immagini che ci appaiono, sia come artisti che come spettatori, possiamo muoverci verso un nuovo senso del nostro sussistere. La mostra in questione di Vasco Bendini vuole richiamare alla mente una serie di opere che hanno catturato l'essenza di un tipico percorso autoriale. L'autore ha riscontrato notevoli successi negli anni Sessanta ma ha subito anche momenti d'oblio, fino alla sua riscoperta alla fine degli anni Ottanta.



Vasco Bendini, Senza titolo, 1956, tempera su tela intelaiata, 73,5 x 85 cm

© Conceptual. All Rights Reserved


Incessante però, anche in questi momenti di minor riscontro, è rimasta la sua peculiare ricerca che ha sicuramente avuto a che fare perennemente con la scienza dell'essere.



Vasco Bendini, Senza titolo, 1972, polimaterico su carta 48 x 34 cm

© Conceptual. All Rights Reserved


Vasco Bendini è stato uno dei protagonisti della stagione informale ma queste opere in esposizione, dagli anni Cinquanta fino agli Ottanta, vogliono mostrare le differenti declinazioni di una personalissimo tragitto artistico.


Vasco Bendini, Senza titolo, 1979, olio su lastra di alluminio, 55 x 66 cm

© Conceptual. All Rights Reserved


Certe immagini si sono formate o sono apparse all'autore e sono diventate elaborazioni piene di senso ulteriore. La loro presentazione, in tempi differenti, può richiamare nello spettatore sempre nuove modalità percettive. Qui sta una delle tante peculiarità della ricerca proposta da Vasco Bendini.


- Stefano Taddei


Fino al 15 febbraio 2020

Galleria Conceptual

Via Mameli 46, 20129 Milano +39 02 70103941

info@conceptual.it www.conceptual.it

La mostra è visitabile nei seguenti orari martedì-venerdì: 14-19; sabato: 10-18

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La ricerca sulla figura umana è stato certamente uno dei rovelli estetici della ricerca di Marisa Merz. Nelle intenzioni della cura di questa mostra proposta dalla figlia Beatrice, tale modalità artistica si esemplifica in peculiari elaborazioni che hanno accompagnato il percorso dell’artista torinese. Il filo di rame e il suo particolare uso aprono le danze di questa mostra.


Marisa Merz, Senza Titolo, 1975, Filo di rame 4 x 23 x 9 cm ciascuna

© Renato Ghiazza - Collezione dell'artista - Courtesy Fondazione Merz


La rassegna poi prosegue con altre importanti esemplificazioni che dialogano in modo indelebile tra loro. Il titolo della mostra fa riferimento ad una frase autografa dell’artista. Ester Coen, nel proprio testo, sottolinea come le piccole teste possiedano una verve interiore che è molto vicina ad un palpito metafisico. L’arte di Marisa Merz è inoltre un continuo rimando di corrispondenze tra parti di oggetti. Tutto ciò non era dovuto alla casualità ma possedeva uno sfondo di studio e ricerca rigorosi.



Marisa Merz, Senza Titolo, s.d., Argilla cruda, resina, pittura oro, disco metallico, 18,5 x 26,5 x 16,5 cm (Ø disco)

© Renato Ghiazza - Collezione dell'artista - Courtesy Fondazione Merz



Marisa Merz, Senza titolo, 1976, Argilla cruda, pittura oro, cera, su treppiede metallico, 139 x 45 x 46,5 cm

© Roberto Pellegrini, Collezione Giancarlo e Danna Olgiati


La ricerca dell’artista torinese è una mappa personalissima in cui il limite tra visibile e invisibile è parecchio sottile. La forza attrattiva di queste differenti opere in mostra è qui a certificare tale afflato. Il volto, focus della mostra, assume importanti valenze se rivolto nel contemporaneo, un tempo in cui il fisico sta assumendo valenze sempre più rilevanti nel giudizio personale e collettivo. Queste opere invece ci insegnano che la figura è ben più complessa della sua mera rappresentazione. Altresì ci designano la tipicità del tragitto di Marisa Merz nell’ambito dell’Arte Povera. I rimandi di certe manifestazioni hanno accompagnato il lavoro di una vita dell’autrice. Il fatto poi che siano presenti in mostra opere senza data significa che certe elaborazioni non hanno mai smesso di parlare allo spettatore.



Marisa Merz, Senza titolo, s.d., Tecnica mista su carta 76,5 x 57 cm

© Renato Ghiazza, Collezione dell'artista, Courtesy Gladstone Gallery, New York and Brussels


La peculiarità di certe ricerche infatti sta proprio nel trapassare agevolmente le varie congiunture dell’umanità e restare contemporanee. In bilico tra intimità, presenza e assenza il lascito di tale indagine è di saperci far riflettere ed emozionare senza affettazione.


- Stefano Taddei


Fino al 12 gennaio 2020


Collezione Giancarlo e Danna Olgiati parte del circuito MASI LUGANO In collaborazione con Fondazione Merz

Lungolago

Riva Caccia 1

6900 Lugano


Orari di apertura: da venerdì a domenica dalle 11.00 alle 18.00 Entrata gratuita


http://www.collezioneolgiati.ch/14/marisa-merz


www.masilugano.ch/it/861/marisa-merz

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In tempi di rapporti sempre più smaterializzati e perciò schiavi della virtualità, il corpo continua ad avere una sua peculiarità estetica che travalica tale congiuntura. In tale senso la fotografia, in tutte le sue declinazioni d’immagine contemporanee, è certamente una delle arti regine.



Si può dire che il corpo, nell’attualità, trova nuovi modelli identitari da rivestire che appaiono sempre più instabili. La fotografia accompagna questi mutamenti non solo visivi. Oggi la fisicità dell’umano è primariamente la sua rappresentazione. Ogni autore investigato in tale testo ha da dire la sua su tale congiuntura. Il libro è diviso in tematiche. Si parte con “ Fisico “, dove certamente Elinor Carucci ci fa notare come la società cerchi di scollegarci da tale dimensione corporea, mentre Eamonn Doyle certifica come la vecchiaia in tempi di giovanilismo imperante sia un’età da evitare anche visivamente. Si passa quindi ad “ Alter ego “, dove si afferma che l’autoritratto attuale più in


voga è quello definito dal selfie. Il nudo di coppia è investigato da Alec Soth, invece una notevole intenzionalità dei referenti si trova nelle opere di Deana Lawson. “ Costruzioni “ è la terza parte. Qui si situa la coscienza attuale del proprio essere e apparire ( in forma ). Con ironia paiono aggredire tale concetto Sarah Maple e Yurie Nagashima. Bettina Rheims e Luis Arturo Aguirre invece analizzano la transessualità. Erwin Olaf testimonia un culto del fisico fino alla tarda età. Si passa quindi a “ Mutazioni “, evidenza molto rilevante nell’attualità. La disumanizzazione del corpo è una realtà e gli artisti non possono che confrontarsi con ciò. Asger Carlsen gioca tra arcaico e oltreumano, dove invece Aziz + Cucher offrono una visione disturbante dell'attuale deriva fisica dell'essere umano. Nel libro si passa poi al saggio di David Sander “ Mente e corpo “. Qui si situano le differenti metodologie di studio della relazione tra corpo e cervello, anche in senso emotivo. Questa congiuntura non può che relazionarsi anche con le ricerche artistiche contemporanee. “ Celebrazione “ indaga le manifestazioni fotografiche in cui viene veicolata la ( presunta ) magnificenza del corpo. La situazione è ben più complessa. Ora il culto dei corpi perfetti pare essere superata, si guarda più alle diversità o specificità. Le ricerche di Dana Lixenburg o quelle di Jocelyn Lee rappresentano al meglio tale fenomeno estetico. Nella parte del libro di “ Carne “ si rileva il lavoro di Francesca Catastini sulle lievi differenze della mano di una serie di persone, mentre rivela pian piano un sentore corporeo molto rarefatto il lavoro di Seba Kurtis. Si chiude con il vero motore che fa andare avanti il genere umano, l' “ Amore “. Qui, dove i corpi ormai si sono esisbiti in ogni dove, si possono trovare percorsi peculiari. Il porno viene investigato da Édouard Levé e Thomas Ruff. Lina Scheynius mostra il piacere della sessualità femminile. SMITH e Jacob Aue Sobol esibiscono la vicinanza corporea nell'amore. Il legame familiare è invece al centro del lavoro da una vita di Alessandra Sanguinetti.

Tante ricerche vengono investigate in tale libro. In congiunture di gigantesco profluvio d'immagini, la fotografia, rispetto al corpo, ha ancora tanto da raccontarci.

- Stefano Taddei


Nathalie Herschdorfer


Il corpo nella fotografia contemporanea,


Einaudi, pp. 432

































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