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Aggiornamento: 26 nov 2019


E’ assodato che la realtà non è mai quella che appare. Si carica infatti di emotività e di demarcazioni personali che la certificano come sfuggente. Luc Tuymans si dedica da tempo ad una pittura che si abbevera a vari medium e che testimonia una ricerca che vuole rendere la realtà come fenomeno tormentante.

Our New Quarters, 1986, olio su tela, 80,5 x 120 cm MMK Museum für Moderne Kunst Frankfurt am Main. Gift of the artist Photo credits: Ben Blackwell. Courtesy David Zwirner, New York / London
Our New Quarters, 1986, olio su tela, 80,5 x 120 cm MMK Museum für Moderne Kunst Frankfurt am Main. Gift of the artist Photo credits: Ben Blackwell. Courtesy David Zwirner, New York / London

Un mondo che ci circonda sempre più attraverso immagini e si certifica perciò come falsamente consolante. Luc Tuymans ci rammenta che chi cerca d’identificarsi con la materialità dell’apparire pare non aver capito la complessità di tali esemplificazioni. Infinite concezioni si possono trovare dietro a questo cosmo apparentemente superficiale. In questa mostra ( Palazzo Grassi, Venezia, Catalogo Marsilio Editori, fino al 6 gennaio 2020 ) si può riscontrare una serie di opere che esemplificano un percorso pittorico peculiare degli ultimi decenni. Il percorso espositivo è stato studiato in relazione al luogo ospitante la rassegna.


Schwarzheide, 2019 ( secondo l’olio su tela eponima del 1986 ), mosaico in marmo, 960 x 960 cm - Fantini Mosaici, Milano Instlallation view Photo credits: Palazzo Grassi, photo by Matteo De Fina
Schwarzheide, 2019 ( secondo l’olio su tela eponima del 1986 ), mosaico in marmo, 960 x 960 cm - Fantini Mosaici, Milano Instlallation view Photo credits: Palazzo Grassi, photo by Matteo De Fina

Le opere si confrontano inoltre con la società dell’immagine degli ultimi decenni. Non manca di confrontarsi con la realtà a noi più vicina. Le immagini digitali infatti dominano la nostra più recente percezione. Secondo Luc Tuymans questa è una sorta di violenza alla nostra vita.


Wandeling, 1989, olio su tela, 69,9 x 54,9 cm Collezione privata Photo credits: Ben Blackwell. Courtesy David Zwirner, New York / London
Wandeling, 1989, olio su tela, 69,9 x 54,9 cm Collezione privata Photo credits: Ben Blackwell. Courtesy David Zwirner, New York / London

L’autore, partendo da spunti desunti da differenti esempi d’immagine, presenta superfici pittoriche che negano un'unica direzione per goderle. Siamo davanti perciò ad una reazione alla vacuità contemporanea delle rappresentazioni, anche quelle digitali.


Indelible Evidence, 2017, olio su tela, 87,9 x 182,6 cm Peng Pei Cheng Photo credits: Studio Luc Tuymans, Antwerp
Indelible Evidence, 2017, olio su tela, 87,9 x 182,6 cm Peng Pei Cheng Photo credits: Studio Luc Tuymans, Antwerp

Tali opere sono un lascito pittorico di ricerca di dialogo con lo spettatore. La forza che hanno infatti risiede nella capacità di interrogare e complicare la fonte neutrale da cui provengono. In realtà Luc Tuymans ha sempre operato partendo da immagini varie per smascherare come esse siano da tempo sistemi di controllo per il nostro esistere. Davanti a questi lavori è la stessa grammatica della visione che viene investigata.


 Venedig, 2017, olio su tela, 107,3 x 208 cm Collezione privata. Courtesy the artist and David Zwirner New York / London Photo credits: Studio Luc Tuymans, Antwerp
Venedig, 2017, olio su tela, 107,3 x 208 cm Collezione privata. Courtesy the artist and David Zwirner New York / London Photo credits: Studio Luc Tuymans, Antwerp

Il fare pittorico si manifesta quindi come particolarmente pregnante per andare oltre il solito schermo d’immagine della realtà mediatica attuale. Dietro alle tante apparenze della nostra vita, grazie a Luc Tuymans, ci può apparire tanta altra sostanza.


- Stefano Taddei


LUC TUYMANS. LA PELLE


PALAZZO GRASSI - VENEZIA







Il passaggio della pop art è rimasto indelebile. In queste interviste si può riscontrare il vero “ nemico “ di tante e diversificate ricerche, l’espressionismo astratto. Il più risoluto a ribadirlo è Roy Lichtenstein.



Le prime quattro interviste, che sono del 1968, spiegano dove gli autori si trovavano in quel tempo dal punto di vista delle loro ricerche. Roy Lichtenstein stava studiando l'arte degli anni Trenta del secolo scorso, tenendo come modulo esplicativo sempre il fumetto. L'autore manteneva così una sorta di fredda ironia verso il mondo che lo circondava. Il suo interesse per i cliché del suo tempo lo avvicinava poi anche al classicismo e alla mitologia della vita americana del periodo. James Rosenquist parla d'inconscio per i propri quadri. Facendo ciò non può che intrecciarsi con certo espressionismo astratto. La resa, chiaramente, è però diversa. L'autore parla di certi insegnamenti desunti da Ad Reinhardt e Marcel Duchamp. Discorre inoltre dell'immagine che deve avvolgere lo spettatore e non appartenere più al creatore. Robert Rauschenberg ricorda che il pittore, nel suo tempo, deve andare a cercare il suo quadro e ciò dipende da certe disposizioni personali e momentanee. Certi prelievi poi non hanno fine perché possono sparire ma, in seguito, anche ritornare. Robert Morris parla del rapporto con lo spazio del proprio operare. C'è un rifiuto inoltre dell'antromorfismo ma una grande cura nella scelta dei materiali. L'immediatezza e la forma desunta dal caso muovono ulteriormente tale ricerca. Interessanti anche i riferimenti ad altri autori, ad esempio a Jackson Pollock. Nel testo si passa quindi a due interviste curate da Gene Swenson e una da Billy Klüver.


La prima, del 1963 e ad Andy Warhol, trova l'artista americano, tra le altre cose, sostenere come la creatività sia una realtà che riguarda tutti. Propugna inoltre che i termini Pop e Dada siano sinonimi e che, nonostante certi presunti cambiamenti, la gente la pensa sempre allo stesso modo. Si passa poi all'intervista/dichiarazione dello stesso anno di Jasper Johns. L'autore evidenzia come nei suoi quadri il senso sia da scoprire. Il fare diventa strabordante rispetto ad una sicura definizione concettuale dietro a tale operare. Si chiude con Tom Wasselmann e con un dialogo del 1964. Un interesse più sulla definizione di una situazione variegata che un singolare prodotto-quadro muove la sua ricerca in quel periodo. Ciò porta ad una maggiore completezza delle rappresentazioni e ad una sorta di dialogo tra i vari elementi. Si instaura perciò un movimento dentro a queste elaborazioni.


Il testo è un viatico per comprendere come il fenomeno pop art non è un monolite ma testimonia tante idee differenti. Qui, di queste, se ne possono agevolmente riscontrare parecchie.


- Stefano Taddei


Pop art

Interviste di Raphaël Sorin

Abscondita, pp. 120






Con la crisi economica i settori pubblici hanno veicolato molte risorse sul sociale discriminando il culturale. Ciò è segno evidente della miopia di una serie di classi dirigenti che non hanno capito come i due ambiti possano ampiamente intersecarsi.

Le istituzioni museali, con scelte deliberate di bilancio, millantato sempre carenze di fondi. Basta poi una cernita di come sono stati utilizzati i soldi pubblici e l’arcano è svelato. La politica, come l’informazione, è disinteressata alla cultura, un settore dove i soliti fanno il bello e il cattivo tempo. Il cittadino poi conferma continuamente la fiducia a questi rappresentanti e diviene complicato proporre arte nell’attualità. C'è però il privato. Sovente, dato che si occupa di tutte le spese, trova viatici privilegiati per proporsi e nobilitarsi esponendo le proprie raccolte d'arte in istituzioni statali. Non sempre, per fortuna, è così. L’indagine vuole proporre una panoramica dei musei privati e del collezionismo che vi si sottintende. Da qui si evince l’eterogeneità della proposta culturale che ha portato anche alla possibilità di fruizione al grande pubblico. Essendo un settore ben specifico, risponde a regole peculiari ma pure con anche storie particolari, come quella di Eli Broad riguardo la donazione della propria collezione al LACMA di Los Angeles. L'istituzione non poté garantire l'esposizione permanente e allora il collezionista si costruì The Broad, un museo privato. Il gusto personale e le relazioni con gli artisti paiono il fulcro di buona parte della passione che muove tale ambito. Non si può però dimenticare l'idea dell'investimento. Ci sono poi musei che sono diventati iconici per le strutture, vedi la Fondazione Louis Vuitton. Nel testo si discorre anche dei lasciti, definendo i vari modelli gestionali possibili. Banche, aziende o navi da crociera hanno creato importanti collezioni e, ad esempio, Bank of America presta la propria a varie istituzioni. Non mancano nel testo importanti considerazioni fiscali e di diritto, senza dimenticare interviste ai fautori di tali raccolte e una panoramica sui maggiori musei privati nel mondo.


- Stefano Taddei

Alessia Zorloni ( a cura di )

Musei privati

Egea, pp. 319

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