Clarissa Baldassarri nasce a Civitanova Marche nel 1994. Nel 2013 si iscrive presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata dove consegue la triennale in Decorazione. Nel 2017 cambia città e decide di trasferirsi a Napoli, dove sta completando il Biennio Specialistico in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti. Nello stesso anno inizia a lavorare con la galleria GMCG gallery di Livorno che espone la personale “Eikòna”. Nel 2019 è una delle tre vincitrici del Combat Prize nella sezione Art Tracker che la porta a partecipare ad un’esposizione collettiva, insieme ad Anna Marzuttini e Giorgia Valli, presso Lucca Art Fair 2020.
Come definiresti la tua pratica artistica e quali sono le tematiche che indaghi?
È difficile dare una definizione assoluta alla mia pratica artistica. Quello che seguo, più che un modus operandi ben definito, è la dimensione dell’ascolto. Penso sia questa la parola giusta. Cerco sempre di capire prima il messaggio che voglio comunicare, poi i mezzi e le strade cambiano di conseguenza. Un filo conduttore sicuramente risiede nella voce che cerco di ascoltare e che fino ad ora mi ha portato sempre ad indagare oltre la superficie delle cose, oltre ciò che vediamo, ascoltiamo o tocchiamo.
Ho un richiamo verso l’invisibile e l’impercettibile e quello che cerco di fare è ridare una dimensione fisica, reale, a quello che normalmente sfugge, scompare.
Quando hai deciso che ti saresti occupata di arte?
Non l’ho deciso io. È stato un percorso quasi necessario. L’arte è stata una necessità, una via da intraprendere per poter trasformare in qualcos’altro quello che non riuscivo a tenere dentro. Un rito purificatorio avviato circa cinque anni fa, quando ho cominciato ad avere problemi con la vista. È stato quello il momento in cui ho iniziato ad interrogarmi sulla realtà che mi circondava, e sulla voglia di raccontare quello che sentivo. Vedere oltre la dimensione fisica delle cose è stato un percorso obbligato, un sentire troppo forte che ha trovato libertà di espressione nell’immagine, a prescindere
Hai appena terminato i tuoi studi all'Accademia di Belle Arti di Napoli: come ha influito questo specifico contesto nella definizione del tuo lavoro?
Più che l’Accademia in sé quello che ha influito maggiormente sul mio lavoro è stata la città di Napoli. Mi sono trasferita in questa città dopo aver frequentato il triennio in Decorazione a Macerata e sono state esperienze completamente diverse. Qua il peso del contesto urbano si fa sentire e lo si respira in ogni cosa. È impossibile non rimanerne travolti.
Trasferirmi qui è stata una scelta ben precisa, Napoli mi chiamava da tempo e dopo tre anni posso dire di aver trovato quello che cercavo. La dimensione del sacro e del profano, il contatto umano, lo spirito di condivisione, il dialogo che supera le barriere. Sono aspetti che volevo conoscere e sono una traccia visibile nei miei ultimi lavori.
Il tuo medium è la scultura: che tipo di rapporto intrattieni con questo linguaggio? Hai una predilezione per alcuni tipi di materiali?
Come già accennavo prima, non ho una predilezione verso un linguaggio o un materiale in particolare. Il mio è un processo che viene dopo aver delineato bene i contenuti. La forma è solo un mezzo che fa da veicolo trasparente tra il dentro e il fuori.
Avevamo iniziato quest'intervista all'inizio di febbraio ma poi il nostro mondo è cambiato radicalmente. Come stai affrontando l'attuale crisi pandemica e in che modo questa emergenza si è riflessa sulla tua pratica?
Esatto, è stato un grande cambiamento e solo con il tempo potremmo capirne i reali effetti.
Sicuramente non posso dire di aver vissuto male la quarantena. Anzi, è stato un periodo di lunghe riflessioni in cui mi sono sentita liberata dai ritmi frenetici del tempo dell'orologio per potermi riconnettere con il mio tempo interiore. Paradossalmente penso che questa distanza fisica ci abbia fatto provare un altro tipo di avvicinamento, che supera ogni confine, ed è avvenuto proprio perché abbiamo vissuto tutti la stessa condizione temporale; quel tempo che Peter Handke ci voleva comunicare e far capire attraverso il concetto di durata.
Ho sviluppato nuove idee di lavori durante questo periodo che toccano proprio questi aspetti, ma sono in fase di elaborazione.
D'altro canto, inizialmente rimasi sconvolta dal silenzio improvviso che piombò sulla mia città. Proprio prima del lockdown avevo appena inaugurato la mostra “Ausiliare”, nella chiesa delle Scalze di Napoli, a cura di Marianna Agliotte e Rosaria Iazzetta. Nell’esposizione affrontavo proprio il tema dell'ascolto in relazione alla posizione che una persona occupa in un determinato spazio e tempo, valorizzando il concetto di silenzio. Provare poi realmente questa sensazione surreale è stato come vivere un sogno lucido.
- Il team di CampoBase (Irene Angenica, Bianca Buccioli, Emanuele Carlenzi, Gabriella Dal Lago, Ginevra Ludovici, Federica Torgano, Stefano Volpato)
LUCCA ART FAIR - ART TRACKER
Dal 27 al 29 novembre, 2020
Casermetta San Frediano, via delle Mura Urbane - 55100 Lucca
T +39 3311303702
E info@luccaartfair.it
La mostra è visitabile nei seguenti orari
venerdì: 17.00 - 20.00; sabato e domenica 10.00 - 20.00
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