Il 1968 fu un anno di non ritorno per molte manifestazioni artistiche, non solo per quelle svolte sul nostro suolo nazionale. Proteste studentesche coadiuvate da artisti e intellettuali, presenza delle forze dell’ordine all’inaugurazione, defezioni e parecchie lamentele per la presunta arretratezza della manifestazione: tutto questo e tanto altro riguardò quest’anno fatidico della Biennale di Venezia.
Sotto gli auspici di un interesse più focalizzato sul “ fare “ della ricerca artistica, su esperienze partecipative e sulla didattica si aprirà la rassegna del 1970. Certamente grande dibattito creò il padiglione francese a cui collaborò Paul Virilio. La protesta coinvolse stavolta il padiglione USA, con alcuni notevoli ritiri come quello di John Cage e Robert Rauschenberg. In fondo questa fu una Biennale di transizione, con alcune peculiarità ma anche dimenticanze ( vedi l’arte povera come movimento ) e con molte questioni che andavano aggiustate. L’edizione del 1972, nelle premesse, pareva auspicare una sorta di ritorno all’ordine, dove molti artisti targati PCI avevano avuto il salvacondotto per potervi partecipare. Sarà pure l’ultima ai cui allestimenti collaborerà Carlo Scarpa. Nella sezione italiana si scontrarono due idee critiche “ bolognesi”, una di Francesco Arcangeli e l’altra di Renato Barilli. La prima si basava sulla tradizione della durata dell’opera, la seconda sulle nuove possibilità di dilatazione di tale concetto. Gino De Dominicis – invitato da Renato Barilli - creò scandalo con l’esibizione di un ragazzo con la sindrome di Down ma propose, in un insieme comunque annebbiato dagli strali moralistici dei molti, una riflessione profonda sull’immortalità e sulla mostruosità dell’arte. La rassegna inoltre presentava una sezione video veramente rilevante, mentre altre mostre programmate non si svolsero per varie problematiche. Era però una manifestazione perfettamente in sintonia con il periodo. Dopo questa edizione ci saranno alcuni anni di mutamenti in seno all'organizzazione dell'evento. Arriverà il 1976, con una Biennale dove le mostre da ricordarsi presentarono ricerche rivolte all'ambiente ma pure un'apertura verso possibilità spaziali e relazionali. L'esposizione curata da Germano Celant rimarrà impressa come operazione altamente professionale anche perché estremamente complessa e, in fin dei conti, perfettamente riuscita. La natura sarà protagonista poi nel 1978. Poi la Biennale del 1980 proporrà riflessioni sul decennio in apertura. Cosa ci lasceranno perciò gli anni Settanta ? Secondo l'autrice l'emergere della figura del critico, ben differente dallo storico dell'arte. La Biennale manterrà anche in seguito invece la sua connotazione non unificante, continuando ad avere i padiglioni nazionali. Successivamente si aprirà sempre più alla città. Ma questa è un’altra storia.
-Stefano Taddei
Stefania Portinari
Anni settanta. La Biennale di Venezia
Marsilio, pp. 336
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